ROSGOS Lost In The Desert

RosGos è lo pseudonimo dietro cui si cela Maurizio Vaiani cantante lombardo già attivo nel primo
decennio del secolo con i Jenny’s Joke. Con questa band, Vaiani ha calcato in lungo e largo i palchi
italiani, superando i 100 live nel biennio 2004-2005 ed esibendosi in alcuni dei migliori festival
indipendenti come il MEI di Faenza e il MusicalBox di Urbino. Con i Jenny’s Joke ha registrato un
omonimo EP nel 2004, l’album Ninth Scene nel 2005 (selezionato da RAI 1 tra i dieci migliori album
dell’anno) e un terzo album omonimo nel 2009. Dopo lo scioglimento del gruppo Vaiani si è preso
una pausa di riflessione, riemergendo col nome di RosGos (il pettirosso nel dialetto delle valli
lombarde) e un primo album intitolato Canzoni Nella Notte, una sorta di excursus nel cantautorato
nostrano uscito nel 2018 per la New Model Label. Per il suo secondo lavoro RosGos si affida alla
collaborazione dell’amico Marco Torriani (già attivo con Toria, Bugo, Verbal, Bangarang). Il nuovo
album esce il 14 aprile 2020 per la Areasonica Records col titolo di Lost In The Desert. Il nuovo
lavoro è una suggestiva cavalcata attraverso vari stati d’animo e riprende in parte le sonorità del
precedente gruppo di Vaiani. Il registro dominante di Lost In The Desert è un folk rock cupo,
primitivi sta, atmosferico, una soundtrack per gli spazi aperti del deserto, per le lunghe e
monotone autostrade, per la natura pigramente assopita, per le distese sterminate senza vita. Il
melange di impressionismo western e di naturalismo orientale (molti brani sono vicine alle
progressioni raga e all’acid rock dei tardi Grateful Dead) come l’iniziale Free To Weep ne fanno un
classico degno della miglior letteratura di frontiera. Nello stesso tempo il sound di Lost In The
Desert riassume, attraverso un songwriting che indaga oltre i nostri confini mentali e grazie ad un
arrangiamento attento ai dettagli, il decadentismo psichedelico dei Giant Sand, il roots rock
romantico e nichilista dei Calexico, il lo-fi umile, stravagante e gotico dei Sparklehorse, la tensione
drammatica dei Pearl Jam più maturi conferendo così alle canzoni un tono che è allo stesso tempo
esistenziale, mistico ed epico. Eteree e ipnotiche, costantemente propulse da un twang
chitarristico tenebroso alla Duan Eddy le canzoni si dipanano con pigrizia come animali che si
rosolino al sole rovente del deserto a partire dalle ballate spettrali di Standing In The Light, To
Daydream (con corredo di chitarra slide) e 17. RosGos osa ancora di più quando usa il registro dei
blues più tenebrosi come in Telephone Song (che si avvale di un pregevole maelstrom sonoro
finale), in Lost (sovraccarico di tensione narrativa) e in Misery (con squillanti rintocchi alla Ben
Harper) senza arretrare davanti ad altri generi come nel gospel di Mary Ann, nel synth pop di
Sparkle avvolto da atmosfere da film noir e nel gothic rock psichedelico di The Date degno delle
cavalcate deliranti e levigate dei Field Of The Nephilim.

La cosa migliore è però l’umile ninnananna da menestrello solitario di Sara che ricorda il Tim Buckley più dimesso ed è impreziosito da tocchi ben calibrati di synth. Ad aiutare Vaiani in questa fatica ci sono le chitarre di Massimo Valcarenghi, Andrea Ardigò e Marco Torriani (che suona anche il basso, la batteria e il synth) e il piano di
Andrea Nassini. Il dialetto coniato da RosGos è un sound bruciato dal sole e carico di segni
dell’apocalisse prossima ventura che è la quintessenza delle allucinazioni e dei paesaggi del
deserto, del genere hard boiled dei Wall Of Voodoo e delle atmosfere da incubo metafisico di Neil
Young.

di Alfredo Cristallo

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