MELT YOURSELF DOWN Last Evenings On Earth

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I Melt Yourself Down sono una band londinese formatasi nel 2012 che lanciò col primo omonimo LP un mix di afrobeat, jazz, punk e world music che divenne immediatamente la musica più up-to-date ed eccitante dei club jazz inglesi. Guidata dai sassofonisti Pete Wareham e Shabaka Kings (che abbiamo conosciuto nei The Comet Is Coming), la band si lanciava su quell’album in intricate e furibonde escursioni sonore che hanno profondamente innovato ognuno dei generi che il gruppo mescolava. La sezione ritmica di Ruth Goller (basso) e Tom Skinner (batteria) e Satin Singh (percussioni) si occupava di mantenere le loro jam a un costante livello di tribalismo, il cantante Kushal Gaja (che canta la lingua delle Mauritius) iniettava dosi di sciamanesimo e Leafcutter John copriva il tutto con dosi massicce di elettronica ora minimale ora esplosiva. Preannunciato dal singolo Dot To Dot (2015) un altro dei loro febbricitanti afrobeat, i Melt Yourself Down sono pervenuti nell’aprile del 2016 al secondo capitolo della loro saga Last Evenings On Earth che prende il nome da una collezione di racconti brevi dello scrittore cileno Roberto Bolano (in Italia il libro è stato edito col titolo di Chiamate Telefoniche). Rispetto al primo album, Last Evenings On Earth aumenta il coefficiente jazz punk etnicheggiante con una feroce energia che nel primo rimaneva almeno un minimo contenuta. Il risultato sono spesso sarabande soniche (che Kushal Gaja (ora passato a cantare in inglese benché le sue liriche continuino a rimanere semi- inintelligibili) rende anthemiche ed invasate (Listen Out), oppure jam poliritmiche ora vicine al funk deragliato alla Rip, Rig And Panic (Big Children), ora simili all’exotica improvvisata e d’avanguardia di Jon Hassell (il pow wow tribale artigliato dai sax all’unisono di Communication), ora simili a una jungle più vicina alla dancefloor (Body Parts).

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Questo jazz apocalittico che preannuncia ben più di una rivoluzione musicale si proietta verso gli spazi siderei con i loops e i bip sintetici di Jump The Fire che i sax rauchi e profetici di Wareham e King s’impegnano a rendere ipnotici; altrimenti si raccoglie nel raga freakbeat di Bharatmata che vanta il miglior campionario di dissonanze free-jazz dell’intero disco. Più vicine alla normalità armonica sono la già citata Dot To Dot e il reggae epico di The God Of You (non a caso uscito poi come secondo singolo). Yazzan Dayra è la novelty finale curiosamente suonata a forma di tarantella. In fondo anche i suoni del Mediterraneo fanno parte della world music. Produce Leafcutter John che come abbiamo visto si occupa anche delle parti musicali elettroniche dell’album. L’album è uscito per la Leaf Record, label di punta del settore che in questi ultimi anni sta allevando e portando al successo tutta una nuova generazione di musicisti che hanno fatto dell’interazione fra generi un punto di forza e un nuovo possibile traguardo per la musica contemporanea appetibile nei club, come nelle platee, come nella dancefloor

di Alfredo Cristallo

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