NOTWIST Vertigo Days

Sono passati 7 anni dall’ultimo LP dei Notwist il live Superheroes, Villains + Other Stuff (2016), 9
dall’ultimo in studio, Close To The Glass del 2014 e ben 20 dal loro capolavoro Neon Golden ma per
il gruppo dei fratelli Markus e Micha Acher (ambedue polistrumentisti) il tempo sembra non
essere passato mai. Da quel capolavoro che lanciò il folk rock digitale del nuovo millennio, un folk
rock infettato e destabilizzato da glitch, loop, finezze orchestrali e pattern metronomici che creava
un equilibrio improbabile fra musica da camera e cacofonia digitale è rimasto il gusto per le
strutture evanescenti, per gli echi di new wave, per le coloriture ambient e per le incursioni nel
krautrock. Da qui riparte il gruppo bavarese (i due fratelli Acher con la new entry Cico Beck al
computer programming), dopo 7 anni di side project (SpiritFest, HockzeitKapelle, Alien Ensemble,
Joasinho) con un nuovo album Vertigo Days che esce il 29 gennaio 2021 per la Morr Music. Il
nuovo album si presenta eclettico, senza un centro d’equilibrio, alternando momenti di intima
delicatezza, trance ambientali nello stile dei Can, ritmi tribali e frenetici, minimalismo e
sperimentazione, dream pop e scintillanti pop rock che trovano il suo capolavoro nel requiem
elettropop di Loose Ends che somma la varietà stilistica di Sparklehorse all’ascetismo minimale dei
Low. Costruita come una colonna sonora ipnotica e riflessiva, la musica raggranella folk digitali
classicheggianti (Sans Soleil), dilatati (Into Love/Stars che inizia con una sonata per piano e chitarra
e si tramuta in un acid-folk con echi percussivi da jungla e da pagoda), metronomici e cacofonici
(Exit Strategy alla Neu) o metronomici e futuristici (Ship con progressioni alla Kraftwerk), scampoli
di world music (Oh Sweet Fire) e musica tribale (l’iniziale Al Norte che somma percussioni a una
voce da teatro kabuki e a una fisarmonica parigina, la miniatura di Ghost pullulante di ottoni, flauti
e percussioni giapponesi) e infine tentativi coraggiosi di pop elettronico anni Ottanta (Where You
Find Me) che si sublimano nell’estatica Al Sur trafitta da droni elettronici alla Juana Molina (ed è
proprio lei che canta). In tanta ricchezza espressiva, il momento d’altissima classe dell’intera
operazione è il jazz folk acido e dilatato di Into The Ice Age nobilitato da clarinetti avantgarde
(Ulrich Wangenheim e Theresa Loibl su orchestrazione di Angel Bat Dawid) che ricordano le
dissonanze improvvisate degli Henry Cow. La tenera qualità emotiva e il sentimentalismo che
sottende da sempre le opere dei Notwist sono invece rappresentate dalle ninnananne pop di A
Night’s Too Dark e Into Love Again (con fisarmonica parigina) e dalla miniatura glitch di *stars*.
Vertigo Days è il risultato trascendente di una prassi che è allo stesso tempo radiosa e umile,
lugubre e cerebrale, un’armonia strumentale e minimale che sospinge la melodia su un lago
immobile con le cadenze subsoniche di chitarre e tastiere a deformare lentamente la superficie
dell’acqua. I loro lieder sono sorprendentemente capaci nel ridurre l’intensità emotiva e nel
raddoppiare il disorientamento: sono esperimenti ipnotici di psicologia cognitiva che lasciano che
l’ascoltatore si stupisca di quel che è successo.

La filosofia compositiva dei Notwist consiste nel principio che da mille incertezze può nascere ancora una certezza e che l’impossibile può accadere in qualsiasi momento. All’album hanno collaborato Max Punktezahl (chitarra), Andreas Haberl (batteria e soprattutto la cantante pop giapponese Saya dei Tenniscoat e il polistrumentista americano Ben La Mar Garay..

di Alfredo Cristallo

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