JULIE’S HAIRCUT Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin

Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin è il settimo album dei Julie’s Haircut. Sono passati ormai ben 23 anni dalla nascita e 18 dal primo album di questa band emiliana che nacque a Sassuolo come trio garage rock incentrato sulle figure di Nicola Caleffi (voce e chitarra), Laura Storchi (basso, voce) e Luca Giovanardi (batteria, voce). In questi anni, la band ha cambiato vorticosamente formazione (cominciando da Giovanardi passato stabilmente alla seconda chitarra e sostituito già nel 1995 da Giancarlo Frigeri), casa discografica e stile musicale. Andando a grandi linee, il primo periodo dal 1999 al 2003 con la Gamma Pop ha visto il gruppo muoversi da un mix di garage e psichedelia (con Fever In The Funk House) a un incursione nei territori del soul (in Stars Never Looked So Bright del 2001). Poi passati alla Homesleep, il gruppo si indirizza verso terreni più psichedelici (nell’album Adult Situation del 2003) e più tardi con l’arrivo di Andrea Scarfone (basso, chitarra, effetti elettronici) e soprattutto con la collaborazione con Sonic Boom (il chitarrista degli Spacemen 3), il gruppo ha iniziato l’esplorazione di sonorità più sperimentali con l’album After Dark, My Sweet (2006). Questa nuova via venne confermata dopo il passaggio alla Silernt Records nel doppio Our Secret Ceremony (2009), nell’EP Wildlife Variation (2012 per la nuova label Woodworm) e nel concept Ashram Equinox (2013 sempre per la Woodworm) che vede il gruppo mescolare l’amatissimo jazz alla Miles Davis con influenze del meglio del krautrock tedesco degli anni Settanta. Quest’ultimo album soprattutto inserisce un sound tanto cosmico, quanto evanescente ed allucinogeno, conferendo al gruppo una statura compositiva tale da reggere il confronto anche a livello internazionale. Il nuovo corso viene confermato anche nell’odierno album uscito il 17 Febbraio 2017 per la Rocket Recordings.

julies_haircut.jpg.big_

L’attuale line-up che comprende Caleffi, Giovanardi e Scarfone più Ulisse Tramalloni (batteria), Andrea Rovacchi (tastiere) e Laura Agnusdei (sax tenore e alto) appare ora impegnata in un rock lisergico che accoglie i divertissement aleatori e atonali dei Can più ascetici, la psichedelica improvvisata, orgiastica e grandguignolesca degli Amon Duul ma sempre immersa in uno stato di perenne trance oppure in impasti armonici che sottolineano ed esaltano gli aspetti più ritualistici e tenebrosi. Sostanzialmente Invocation… è un album per quadri che appaiono spesso disgiunti da un coerente sviluppo armonico, preferendo soffermarsi svagatamente fra textures sonore eleganti, rarefatte e ipnotiche punteggiati di quando in quando da interventi dei vari strumenti solisti (chitarre, tastiere, fiati ed elettronica) ma sempre dentro un’atmosfera desolata, di perdizione eterna o di maledizione inesorabile. Il tetro rosario inizia con la sterminata Zukunft (11 minuti) un blues cadenzato e funereo che si evolve in una jam lisergica fra droni di tastiere, fiati brumosi e tocchi minimalisti di piano. Gli oscuri cerimoniali dei Doors si ritrovano ancora in The Fire Sermon (per quanto la trama sonora venga stracciata contemporaneamente dalle percussioni tribali, dagli ululati della chitarra e da bisbigli di fantasmi), nel sabba caotico di Salting Traces fra droni di organo e parti vocali desolate alla Ian Curtis e soprattutto nell’arcana evocazione di Gathering Light propulsa da una chitarra dionisiaca e da contrappunti incrociati di clarinetto e organo. La già citata predilezione a costruire atmosfere imponenti ma senza un punto d’equilibrio trovano conferma ed esempi diseguali nel pow wow cadenzato di Orpheus Rising e nella jam labirintica e caotica di Deluge. Gli aspetti più delicati di questa musica multiforme e abbacinante vengono toccati nella ninnananna per harmonium e mandolino di Cycles, vicina tanto al raga quanto alle progressioni armoniche mediorientali (e capace di accogliere nel finale un indimenticabile assolo di clarinetto) nonché nella chiusura psichedelica e spirituale di Koan. Nonostante gli anni trascorsi, i Julie’s Haircut non hanno perso il gusto di sperimentare e scoprire nuove trame e nuovi spunti per una musica che sa essere allo stesso tempo acida, irrazionale e intrisa di intima religiosità.

di Alfredo Cristallo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.