UMBERTO MARIA GIARDINI Futuro Proximo

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Umberto Maria Giardini è il vero nome del cantautore italiano conosciuto come Moltheni. Dopo aver iniziato come batterista nel 1983 suonando nel gruppo punk degli Hamilton (poi Hameldome), Giardini prese lo pseudonimo di Moltheni nel 1999 e lo mantenne fino al 2010. Con questo nome ha pubblicato otto album: fra questi meritano una specifica menzione Natura In Replay il primo registrato per la neonata Cyclops Records nel 1999 e l’ottimo Fiducia Nel Nulla Migliore del 2001 considerato il punto più alto della carriera ma naufragato malamente grazie a incomprensioni con la label dell’epoca, la BMG. Dopo un intermezzo nei Pineda con un unico omonimo album pubblicato (2011), Giardini ha ripreso il suo nome di battesimo e ha riesordito con l’album La Dieta Dell’Imperatrice del 2012. Sono seguiti l’EP

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Ognuno Di Noi E’ UN Po’ Anticristo (2013) e l’album Protestantesima (2015)con cui l’artista marchigiano ha delineato un nuovo tipo di proposta musicale, cha ha ora un suo seguito nell’album Futuro Proximo, pubblicato per La Tempesta Records il 3 febbraio 2017. Sostanzialmente la poetica di Giardini si riassume in una malinconica descrizione della realtà esistente che i suoni ora taglienti ora vellutati trasformano in una discesa negli inferi di un presente ormai incomprensibile e di un futuro che sembra sempre più privo di speranze. Futuro Proximo è quindi una nuova stazione d’inizio di un’altra tragica e ineluttabile discesa nel nulla. Giardini la intraprende unendo il suo sound depresso alla Nick Drake con l’esistenzialismo macabro dei Joy Division. Di fatto l’album che inizia con il blues strascicato di Avanguardia, una litania che si aggira costantemente fra ombre scure, non concede nei suoi suoni desolati e granitici molte variazioni sul tema: sia che si tratti di un lamento futuristico (A Volte Le Cose Vanno In Una Direzione Opposta A Quella A Cui Pensavi, Il Vento E Il Cigno, Dimenticare Il Tempo colma fino all’inverosimile di enorme dolore) sia che si tratti di un freak beat come Alba Boreale (con baluginii di chitarra psichedelica), sia che venga impiegato un tono più elegiaco e nostalgico (Caro Dio), questi non sono altro che diversi modi di cantare la fine. Giardini cerca qualche via d’uscita all’ineluttabile destino della sua poetica con il jazz d’avanguardia alla King Crimson di Ieri Fino A Futuro Proximo, un epico e spigliato strumentale e con il trittico finale comprendente il blues cadenzato di Graziaplena che si muove su gracili filigrane congelate, con il boogie rallentato di Onda (una canzone a cui come nei bonsai è stato vietato crescere) e infine nel conclusivo deliquio pianistico di Mea Culpa. Splendido architetto di atmosfere fataliste, Giardini si immedesima a tal punto nell’ebbrezza dell’inedia e del languore esistenziale, costretto com’è a vivere in un mondo che non ama. I suoi album sono uno spaccato di questa filosofia di fondo e arrancano sempre più faticosamente verso un destino già segnato. L’album è stato prodotto da Andrea Scardovi e registrato fra ottobre e novembre del 2016. Nell’album hanno suonato oltre a Giardini (voce, chitarra), il tastierista e bassista Michele Zanni, il chitarrista Marco Marzo Maracas, il batterista Giulio Martinelli, e Stefano Radaelli al sax tenore.

di Alfredo Cristallo

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