RICCARDO ZEZZA PARDINI: Il Cranio d’Oro

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Riccardo Zezza Pardini è un grande bluesman, forse uno dei migliori a Pisa. Lo è tanto più se si pensa che a Pisa l’amore per il blues non ha mai veramente attecchito e per conseguenza i gruppi che suonavano blues non sono mai stati molti. Riccardo è cresciuto in una famiglia di appassionati di musica, suo fratello di 6 anni più grande suonava la batteria e non è quindi difficile comprendere la sua passione per il blues. Ha iniziato a suonare nei The Blacklies nel 1995, poi col fratello negli RP. Dopo un periodo oscuro e un lungo viaggio in India, Riccardo torna in Italia, ha un figlio, poi si immerge di nuovo nella musica, collaborando con Alessandro Benvenuti e formando un suo gruppo con Matteo De Lucia (basso) e Leandro Bertorello (batteria; allievo di Tullio De Piscopo). Sono De Lucia e Bertorello a dare la spinta decisiva a Riccardo per sfornare l’album di debutto (completamente autoprodotto e dedicato alla nonna materna da cui ha preso il cognome Zezza), che raccoglie brani che risalgono fino a 10 anni prima: Il Cranio D’Oro viene infine pubblicato a fine Dicembre 2013. Propulsa da un notevole tasso di perizia tecnica, la musica del gruppo rievoca l’epoca d’oro dei guitar heroes fra anni ‘70 e ‘90, incurante del concetto di contemporaneità e anzi felice d’immergersi in un groove sicuramente caratterizzato ma non per questo meno credibile e anzi molto più sincero di tanti musicisti che hanno svilito il genere fino a trasformarlo in un pop commerciale. Al contrario Riccardo Zezza Pardini picchia sulle corde della sua chitarra con la stessa felicità di Bambi Fossati e lo stesso pacifico lirismo di Roberto Ciotti, attivamente coadiuvato da una sezione ritmica compatta e insuperabile soprattutto sui controtempi. Così il disco scorre energico dimostrando brano dopo brano in quante e quali modalità può essere declinato il blues. Si va dalla blues fusion di Strade (con andatura zoppicante) e Analisi a quella zeppeliniana della title-track, si passa per il reggae di Jimi (a chi mai sarà dedicato?) e Vale, si omaggiano i Rage Against The Machine col metal rap di Ho Paura Di Affogare Nel Mare e i Black Sabbath con la ballata (quasi prog) di Dentro, ci si scatena con l’hard-rock classico di Black Guitar ed Emerel per raggiungere l’estasi con l’esercizio strumentale di Cucù un jazz bucolico intriso di frammenti psichedelici che chiude l’album. Ogni brano è canonicamente corredato da superbi assoli di blues guitar che possono suonare datati ma sono ancora capaci di colpire contemporaneamente il cuore e il cervello. Ed è questo che un buon album di blues deve saper fare!

di Alfredo Cristallo

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