L’Angelo dell’Inverno: Un Canto di ricordi.

di Valentina Solinas

Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita” diceva De Filippo, circa un secolo dopo che Chekov mise in drammaturgia  il disperato sforzo dell’attore di dare un senso alla propria carriera teatrale ripercorrendone i momenti di gioia e di fatica; così nacque l’atto unico Il Canto del cigno.10352720_701464036581279_764085050_nL’angelo dell’Inverno di Silvia Pasello, andato in scena domenica 27 aprile al Teatro Rossi di Pisa, è la riscrittura del testo checkoviano con l’adattamento al sesso e alla vita scenica dell’attrice emiliana.  L’atto unico è nato da una riflessione della Pasello sul valore del proprio lavoro forgiato in 35 anni di carriera, la partitura scenica è frutto del laboratorio inserito all’interno del percorso TRAining del Teatro Rossi, con la partecipazione di Gract Teatro.10287110_701464223247927_1376118395_nL’angelo dell’inverno è un lavoro delicato e romantico, dai toni malinconici e nostalgici, dove i ricordi del passato si alternano a frammenti delle più belle interpretazioni di Silvia Pasello; tanti frame che scorrono come una pellicola sotto agli occhi di un pubblico che spia dall’alto dei palchetti dell’antico teatro abbandonato (disposizione funzionale all’atmosfera della pièce). La Pasello interpreta sempliciamente se stessa, immersa nei ricordi, e nelle riflessioni teoriche sul senso della messa in scena e sul valore del teatro. A differenza dell’anziano attore pensato da Checkov che reinterpreta i suoi personaggi in presenza del suo suggeritore, Silvia Pasello si trasforma sulla scena  in re Lear, Manfred di Byron, Agatha di Duras, eVladimiro di aspettando Godot di Becket; una carellata delle sue migliori interpretazioni che prendono vita sul palcoscenico del Teatro Rossi; l’attrice resta in bilico tra il metateatro già presente nel testo Checoviano e la tecnica dell’attore del teatro di ricerca del novecento: si pensa all’atleta del cuore di Antonin Artaud, e si riconosce il metodo Grotoskiano introiettato dalla performer negli anni di formazione presso il centro sperimentale di Pontedera, ora Teatro Era.Tra i ricordi di Silvia Pasello non mancano le grandi citazioni tra cui Carmelo Bene che con la sua voce registrata chiude la messa in scena con una riflessione drammatica sullo spettacolo teatrale, ma soprattutto non manca il pensiero alla sorella Luisa, morta quasi un anno fa, la quale partecipa con la sua voce che si difonde nello spazio del Teatro Rossi, così come cinque mesi pima ritornava a piccole intermittenze nello spettacolo Dell’amore immortale che ha aperto la stagione del Teatro Era. Lo spettacolo, tratto da Il grande quaderno della Trilogia della città di K di Agota kristof, presenta la stessa struttura dell’Angelo dell’inverno: Silvia Pasello è sola in una scena semi vuota, accompagnata da brevi motivi melodici di un contrabasso, suonato da Ares Tavolazzi, autore e esecutore degli interventi musicali dell’ Angelo dell’inverno. Così l’intervento violinistico che dialoga con la performer solitaria si manifesta come un’esplicita citazione del suo recente spettacolo, in aggiunta al corposo repertorio della Pasello, presentato al pubblico del Teatro occupato.

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E’ un peccato dover precisare, che in questo piccolo ma intenso spettacolo, l’uso delle luci risulta statico e un po’ scontato, una flebile luce come simbolo della solitudine e dell’abbandono, illumina appena la figura della Pasello nelle vesti della vecchia attrice quando all’apertura dello spettacolo si trova sola e inizia il suo soliloquio. Nel vivo del ricordo la luce è piena e da quel momento  rimane fissa quasi fino alla fine della messa in scena. Si sarebbe potuto osare di più, e attraverso la luce evidenziare i movimenti dell’attrice nello spazio, aprendo la possibilità a un’estetica più varia e stimolando lo spettatore a più chiavi di lettura. L’angelo dell’Inverno è, comunque, un piccolo omaggio alla vita passata, alle soddisfazioni e alle insoddisfazioni che fanno parte della vita, una riflessione di un’attrice che supera il limite dell’ideale barriera tra artista e cittadino, e  dipinge la difficoltà di accettare il cambiamento dato dal trascorrere del tempo. Un addio ai raggii di sole che hanno schiarito la vita di Silvia, come un tempo hanno riscaldato il tetto dello storico teatro Rossi, simboli di un inevitabile cambiamento che prima o poi tocca tutti.

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