SOFT MOON: dal 1° a Zeros

di Alfredo Cristallo

 

Soft-Moon

Soft Moon è una one-man band di S. Francisco creata dal polistrumentista, cantautore e produttore Luis Vasquez, la cui musica rinverdisce i fasti del synthpunk e della darkwave degli anni Ottanta mescolandola al recupero vintage delle sonorità provenienti dalla tradizione krautrock. Il fantasma dei Sisters Of Mercy aleggia nella gotica Breathe Of Fire primo singolo e brano d’apertura dell’omonimo 1°LP del 2010, il pow-wow industriale di Circles riprende la lezione dei Ministry, mentre la galoppante trenodia di Out Of Time avvolta in atmosferiche linee sintetiche ha come massimo riferimento i Suicide. Tutta la tradizione dark (Dead Love alla Joy Division)e  industrial viene convocata al fine di creare un percorso che si snoda come flusso di coscienza (Tiny Spiders), esperienza psichedelica (Primal Eyes), apocalisse controllata (We Are We). Le sperimentazioni motorik alla Neu (Parallels, Sewer Sickness) e le lente, glaciali ballate di When It’s Over e Into The Depths danno un tocco di ricercatezza all’opera di Vasquez tanto quanto la copertina dell’album con citazioni grafiche prese in prestito alla Bauhaus e il mix di musica, installazioni e video che animano i concerti del gruppo. Soft Moon vira verso una versione metallurgica di horror fantascientifico nel successivo EP Total Decay del 2011 (la title-track, Repetition, Alive) spinta fina all’estrema alienazione techno di Visions. Per il nuovissimo LP Zeros (2013), Vasquez rispolvera la prassi dell’assalto frontale meccanico applicandola alla sua filosofia di “morte e disperazione”. Le trame preferite sono infatti i continuum industrial che vent’anni fa hanno reso famosi i Throbbing Gristle prima e i Cabaret Voltaire dopo: si parte dal voodobilly di Machines (nomen omen!), si passa per il ronzio di Crush e i singhiozzi di Remembering The Future, per arrivare al balletto androide di Die Life (che non sfigurerebbe in discoteca). I momenti migliori sono però quelli in cui Vasquez si sposta sul versante dark: la litania di Insides perforata da massicce distorsioni, l’incalzante battito della title-track, la suspence tribale di Want con il suo corredo infernale di voci dall’oltretomba e crepitii orrifici. L’intera operazione si svolge sotto l’alea esoterica della circolarità infinita: inizia e finisce con i brani palindromi di It Ends e sdnE iT. Tuttavia ritornando con i piedi per terra si può notare come la nuova esperienza di Soft Moon (ancora una volta interamente concepita, suonata e prodotta in splendida solitudine da Vasquez) si svolga sotto la matrice incombente dell’inquietudine, dell’oscurità, della tragedia incombente, del terrore subliminale; aldilà del miglioramento della qualità del suono non possiede però il passo e l’impatto del primo LP che sia pure nel suo modernariato, manteneva comunque un tono di maestosità wagneriana e luciferina. Zeros possiede ancora la sensibilità geometrica del leader ma troppi brani non sono così ritmicamente e strutturalmente validi per non sembrare troppo dance. Forse è venuta l’ora che Vasquez si apra ai contributi degli altri membri del gruppo….

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