Versi piccanti, più o meno volgari, di poeti della Grecia antica e graffiti sulle ville di Pompei.

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DA UN ANONIMO POETA

Se qualche volta ti sembro ignorante perdonami, io sono un contadino, non

colleziono libri, ma le mele. Pure, sebbene rozzo, tante volte sono costretto ad

ascoltare qui il padrone che legge con così alta voce che mi son fatto una cultura

omerica.

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Diciamolo pure, se la fava del Troiano [Paride, n.d.t.] non fosse stata troppo di

gradimento alla fica spartana [Elena, n.d.t.], non ci sarebbe un libro che la canta.

Se il cazzo del Tantalide [Agamennone n.d.t.] non fosse stato famoso non doveva

piangere il vecchio Crise; fu proprio quel pene che rapì al compagno la tenera

amica, la quale lasciò Achille per quel cazzo. Ed Achille cantava sulla cetra il canto

lamentevole dei Tessali con il pene più teso di una corda. Dall’ira nata da tale

episodio ebbe inizio l’Iliade, quell’ira segnò il principio del poema sacro.

Nda: Elena di Troia (o la troia?) ebbe poi a dire:

« E molte vite sono morte per me sullo Scamandro,

e io, che pure tanto ho sofferto, sono maledetta,

ritenuta da tutti traditrice di mio marito

e rea d’aver acceso una guerra tremenda per la Grecia. »

……………………

L’altro poema [l’Odissea, n.d.t.] canta il vagabondo Ulisse multiforme: ed anche qui

se vuoi sapere il vero, fu l’amore a muovere ogni cosa.

E dal membro d’Ulisse fu colpita la figliola d’Alcinoo, Nausicaa. Tuttavia Ulisse

s’affrettava a ritornare alla vecchietta sua, la mente ed i sensi tutti tesi alla tua fica,

o Penelope! Tu che rimanesti casta anche partecipando a feste e giochi ed avendo la

casa tutta piena di chiavatori. Volendo sapere chi, tra quei molti proci a cazzo dritto,

fosse proprio il più dritto, hai detto loro: <<amici, meglio di Ulisse nessuno tendeva il nervo, quello delle reni come quello dell’arco. Poiché è morto, tendete l’arco voi, così vedrò chi è tanto in gamba da essermi marito. Avrei potuto piacerti, Penelope, ma a quel tempo non era ancora nato.>>

Ed ora sull’omosessualità.

Albio Tibullo: “O mio pene scellerato, mio malanno, severamente sconterai la colpa

con giusta legge. Avrai di che lagnarti: nessun ragazzo più ti s’offrirà appoggiandosi

al letto ed ondulando da vero artista le mobili chiappe; nessuna bimba lasciva saprà

farti avere una forsennata erezione con mano leggera premendo su di te la bella

coscia. Ti metteranno davanti una vecchia con soltanto due denti in bocca, memore

amica dell’antichissimo Romolo, tra le cui cosce vizze si nasconde sotto il pendulo

ventre, una spelonca coperta di pellecchie, dall’entrata – vista l’inerzia plurisecolare

– piena di ragnatele. Te la mettono lì davanti per cui quell’oscura fossa inghiotta

tre o quattro volte il tuo glande. E giacerai malaticcio, più torpido di un serpente

pasciuto, strapazzato di continuo, finché tre volte o quattro saprai riempire quella

fossa oscura, disgraziato! La tua superbia a nulla ti gioverà, non sodo ma barzotto

calerai dentro quel fango sonante. Ed allora, buono a nulla, ti rincresce la tua

mancanza d’aggressività? Per questa volta la passerai liscia: ma quando tornerà

il ragazzo d’oro, appena avrai sentito il noto piede risuonare, ti drizzerai con i

nervi tesi della libidine, un turgore irrequieto s’ingrosserà fino all’inguine e non la

smetterà di rigonfiarsi finché non mi abbia la lasciva Venere rotto le fiacche reni.”

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Nel libro XII dell’Antologia Palatina, sono riportati gli epigrammi del poeta

Stratone di Sardi sulla poesia pederotica. Vediamone qualcuno. Uno dei più

simpatici è di certo il terzo: ” Hanno appendici, o Diodoro, di triplice forma i

ragazzi/: devi sapere di ciascuna il nome,/puoi chiamarla Pipino la punta ch’è

vergine ancora;/ quella che già si va rizzando pinco ;/ chiama lucertola quella che

ormai nella mano sussulta;/ quella adulta lo sai come si chiama.”

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Un altro poeta epigrammista di nome Dioscoride, scrive:” Quell’assassino di Eros

a Sosarco d’Amfipoli fece,/ scherzando, il culo tenero – un midollo -/ per provocare

Zeus: chè di latte e miele ha le cosce/ questo ragazzo più di Ganimede:”

……………………

A proposito del culo, un altro auore, Riano, ha detto:” Ore e Cariti d’olio dolcissimo

t’unsero, culo,/ e tu togli persino ai vecchi il sonno:/ Dimmelo, su, di chi sei? Te

beato! Di quale ragazzo/ sei fregio? Il culo disse:” di Menecrate”.

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La più grande poetessa di tutti i tempi, Saffo di Ereso, nell’isola di Mitilene, vissuta

nella seconda metà del VII secolo a.C., è tutta un fuoco d’amore per le sue allieve

del Thiasos (una scuola in cui alla fanciulle, dall’età di nove anni in poi, venivano

insegnate, oltre la danza e la musica, tutte le furbizie e le specialità erotiche più

raffinate, per adescare i malcapitati maschi). In un frammento, il 48/205 LGS,

senza tanti falsi pudori, scrive:” Sei venuta, io ti desideravo, hai rinfrescato il mio

cuore bruciante di passione.” In un altro brano, il n. 49/206 LGS, rivolgendosi alla

bella Attis dice:” Ti amavo, Attis, tanto tempo fa ed ancora eri piccola e sgraziata”.

Evidentemente questa Attis, assai viziosa più della sua insegnante, le fa dire con

manifesta gelosia, più tardi, nel brano 130-131/238 LGS:” Di nuovo mi tormenta

amore che scioglie le membra, dolce-amara invincibile fiera. Ma tu, Attis, non pensi

più a me e voli da Andromeda”.

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Gaio Valerio Marziale, adoperava un linguaggio a dir poco sconcio allorché

lanciava le sue tremende invettive contro la società del periodo dei Flavi e

nell’epigramma del II libro n. 62, rivolgendosi ad un Labieno, dice:

“Ti depili il petto, le gambe e le braccia ed hai rasato anche i peli che cingono il tuo

membro. Fai ciò, o Labieno – e chi non lo sa?- per la tua amante. Per chi, invece

o Labieno, depili il tuo culo?”. Bellissimo un epigramma del III libro, il n. 71:”

Poiché al ragazzo fa male il pene ed a te, o Nevolo fa male il culo, pur non essendo

indovino, so bene ciò che fai”.

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Anacreonte, grande poeta greco del VI-V secolo a.C., rivolto ad un giovane

afferma:” Fanciullo che hai lo sguardo di fanciulla, io ti cerco e tu non mi ascolti e

non sai che dell’anima mia reggi le briglie”

Eccezionale un carme di Dioscoride, poeta del III secolo a.Cr. originario di Samo,

nell’Antologia Palatina (XII,171) dice di un giovincello:”Se Demofilo, quando sarà

un ragazzo, donerà agli amanti quei baci che ora – ancor bimbo- dona a me, mai di

notte avrà pace la porta di sua madre:”

…………………….

Il poeta Meleagro di Gadara, nell’epigramma 18: “ Afrodite, divinità femminile,

c’instilla la passione che rende pazzi per una donna, mentre Heros governa le

redini del desiderio maschile. Ed io con chi devo stare, col figlio o con sua madre?

Dichiaro che addirittura Afrodite stessa dirà: l’audace giovanetto è il vincitore”.

………………….

La divinità chiamata Priapo, sotto forma di statua (più o meno corrispondente ai

nostri spaventapasseri) veniva collocata a guardia degli orti e dei giardini. Ed ecco

che il carme n. 52, avverte gli eventuali ladri a stare alla larga, se no: “ Ehi tu, che

non riesci a tener fuori quelle tue manacce dall’orto in mia custodia: in primo luogo

io, personalmente, ti ridurrò più largo d’una porta entrando ed uscendo dal tuo

culo. Poi continueranno i due che mi accompagnano, muniti di pendagli prestigiosi.

Dopo che questi t’avranno disteso e trombato per bene, ecco che arriva dal prato un

asinello arrapatissimo e dotato di un membro di prima qualità. Faccia attenzione il

malintenzionato, visto che i cazzi in giro sono tanti”.

Da i Carmina Priapica”, è possibile ricavare altri pensieri sull’amore di un uomo

verso una donna, ma tanto più di un uomo verso un altro uomo. Un passo di anonimo

suona così:” Bada che io non t’afferri! Se riuscirò a prenderti, non ti bastonerò,

né con la curva falce ti farò male, ma trafitto da questo mio pene spropositato

t’allargherai talmente da sembrare che il tuo buco del culo non abbia più una

grinza.”

Un successivo frammento priapico, il n. 22, s’intitola “Sotto a chi tocca” : “Venga

a rubare qui (sotto a chi tocca) una femmina, un uomo o un ragazzetto: lei mi darà

la fica, lui la bocca ed il terzo il culetto”. Da questo passo, sia pure breve, si evince

in maniera lampante che anche i Latini non andavano troppo per il sottile, quando

di trattava d’infilare! Bellissimo quest’altro passo, il n. 25: “Questo scettro, da un

albero reciso e che nessuna fronda inverdirà mai più, concupito da ragazze sfacciate

(ma anche i re vorrebbero averne uno così), sbaciucchiato da nobili finocchi,

penetrerà nel ladro sino al pube, sino all’attaccatura dei coglioni.”

………………….

Venendo a i graffiti sono eloquenti quelli sui muri delle antiche case di Pompei e

Stabia. Un graffito reca questa scritta: ” Mentula cessas, verpa lumbos apstulit”=

Hai il pene fuori uso: il tuo aggeggio troppi deretani ha suonato. Una altra scritta

recita: “Vos mea mentula deseruit, dolete puellae, pedicat culum: Cunne superbe,

vale”= Piangete o ragazze, il mio pene vi ha abbandonato; adesso incula culi. Addio

vagina superba, addio.

Un bellissimo graffito, in greco, si trova su un muro della villa “Arianna” di

Stabia:” Se qualcuno ebbe la ventura di nascere bello e non offrì le sue natiche al

piacere altrui, quello, innamoratosi di una bella fanciulla, non abbia mai la fortuna

di godersela”. Violenta e crudemente relistica un’iscrizione che dice:” Cosmus

Equitiaes magnus cinaedus et fellator est suris apertis”= Cosmo, servo di Equizia, è

un grandissimo pederasta, un ciuccia-membri dalle gambe sempre aperte.

Un buontempone pompeiano su un altro muro ha voluto, addirittura, eternare la

sua predilezione per l’amore omosessuale e lo incide sul muro di casa sua:” VII

Idus Septembres Quintus Postumius rogavit Aulum Attium pedicarim”= Il nove

settembre Quinto Postumio ha invitato Aulo Attio ad avere un rapporto omosessuale

con lui.

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