(1990) La Signora di Alessandria una volta mi disse:
«I 99 Nomi di Dio, che si avvicinano di poco alla sua descrizione, furono rivelati al Profeta, ma solamente al Cammello gli fu rivelato il misterioso Centesimo Nome che ne spiega l’esatta natura. E poiché il centesimo Nome è noto solamente ad esso, sembra assumere un’espressione sorridente di fronte al proprio carnefice, e pensa – Io! Io solo conosco il centesimo Nome! Chiunque li conosca tutti, andrà in Paradiso! – ». Avevo solo sedici anni, non capii.
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(2010) Il rituale
La padrona di casa scostò la tenda e con la mano mi fece cenno di seguirla nel dedalo di casupole e haimas polverose, mi condusse in un luogo dove non c’era sangue di bestie scannate, né odori e lamenti di altro animale vivente, in un crocicchio, un berbero ci aspettava con una capra al suo fianco. Solo il vento sferzante portava con sé l’odore di sabbia, carbone e cenere.
All’imbrunire, il berbero recitò una frase sommessa quando l’animale era ancora vivo e orientandolo verso la Mecca, recise con un sol colpo inferto, le due vene giugulari e la trachea con la lama di un coltello affilato, manovrato dalla sua mano destra. La capra non era sedata, né stordita e docile spense l’ultimo rantolo tra le nostre carezze. Non fui un osservatore, ma un ospite onorato nel fare da assistente, e come tale partecipai al dissanguamento e alla macellazione delle carni.
L’emozione fu così forte che riuscii a dire solamente shukrân (grazie).
Ma con l’odore ferroso del sangue e i vapori delle viscere calde e umide, riaffiorò improvvisamente in me, quella memoria olfattiva sopita da molto tempo, fui piombato improvvisamente nei ricordi della mia infanzia, quando la zia m’invitava a spellare conigli e a sventrare polli; e capii, grazie anche alle esperienze passate, l’importanza per il rispetto che si dà all’animale offerto in sacrificio per noi.
Avere il privilegio di condurre alla morte quella capra, mi permise di comprendere la sacralità del rituale halāl, non priva di umanità e non una barbarie disumana come pensano i bipedi urbanizzati, che disconnessi dalla terra, spingono la propria esistenza meccanicamente verso il mattatoio industriale, dove la macellazione automatica delle carni di cui si nutrono, sono rigonfie dei loro mali.
Spesso gli animali allevati per l’alimentazione dei bipedi urbanizzati, sono reclusi in spazi ridotti e sin dalla nascita non vedono mai luce solare né buio notturno, vivono una situazione innaturale di stress continuo il quale produce tossine; vengono ingozzati con mangimi fortificati e farine animali con lo scopo di farli ingrassare; subiscono trattamenti ormonali e antibiotici. Se a queste particolari attenzioni, ci si aggiunge nei processi di lavorazione alimentare umana anche prodotti di largo impiego come:
grassi e gelatine provenienti dagli scarti di bestiame macellato; i mono e digliceridi degli acidi grassi; i monostereati, gli antiadensanti; gli emulsionanti; i saccaroesteri; i saccarogliceridi; la margarina; gli antiagglomeranti; i coloranti chimici e quelli naturali come la cocciniglia (insetto); gli esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico; e tutti quei prodotti indicati in etichetta con la lettera «E» seguita da un numero di tre cifre.
Allora ne consegue che, tutto la stomachevole spazzatura chimica, prima di finire nella tazza del cesso, passa dal corpo dell’essere umano, esponendo la sua salute a conseguenze nefaste.
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(2010) Desiderio di Fuga
No! Non potevo restare intrappolato nel deserto per coronare il mio desiderio di fuga dall’Italia, come non avrei mai potuto sposare una Religione per vivere con Lei…
…Lei, desiderosa di fuggire da quel deserto.
Se avesse prevalso l’egoismo, si sarebbe creato un corto circuito dannoso per noi due, per l’Associazione in cui operavo, e per l’intera comunità “berbera” esiliata ai margini più estremi. Abbandonai il progetto di ritornare là dove le rose del deserto nascono tra mille barbagli. Non la rividi più. Il fuoco del ricordo mi incendia il cuore nel rievocare il suo canto melodioso.
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(2010) A casa
Ritornai a casa, non convertito, ma assimilante… riuscii a fare mio ciò che prima non comprendevo nemmeno con le letture di alcuni testi ritenuti sacri da altri.
Ritornai a casa, ma la naturale propensione alla mutevolezza dei miei ideali si scontrò con la granitica fermezza del vuoto spirituale in cui vivo. Tale scontro tuttora mi nega la possibilità di evolvermi.
Ritornai a casa, in una Italia asintomatica. La totale incapacità d’osservazione di chi ha sempre vissuto nel malessere, e “oggi 2020”, in quest’epoca pandemica manifesta, ha permesso alle Autorità non elette di attuare misure liberticide nei confronti di una variegata popolazione endemica… (“endemica” nel significato più ampio), alla quale non mi sono mai riconosciuto. Ed ora più di prima, prendo le distanze da chi vuole ritornare alla normalità asintomatica, pagando il caro prezzo della Libertà individuale.
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(2007) La Ciotola
Una bambina berbera mi porse la ciotola di latte crudo di capra. Non potei rifiutare data la solennità della celebrazione, e per non offendere i miei ospiti, simulai il gesto di bere limitandomi a inumidire le labbra. Se avessi bevuto, con buone probabilità avrei corso il rischio di prendere la dissenteria.
Oggi 2020, in quest’epoca di manifesta isterìa, non è permesso uno starnuto causato dalla polvere, non un naso colante da rinite postprandiale, non un tossire da soffocamento. Per un eccesso di sfiducia riposta su sé stessi e sugli altri, dobbiamo auto punirci indossando una mascherina utile soltanto in caso di reale sintomatologia manifesta, e se, ci capita l’atto liberatorio e naturale dello starnuto, dobbiamo auto denunciarci come untori, e rinchiuderci in casa senza sapere se si ha o meno il famigerato male.
Col senno di poi mi rendo conto di essermi perso l’ebrezza della dissenteria, e rimpiango quel sano e crudo latte caprino non bevuto!
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(2016) Il vaccino
Riferendosi alle popolazioni berbere, il mio Prof. un simpatico signore magrolino dalla barbetta caprina mi disse «Noi europei dobbiamo vaccinarci per sopravvivere in Africa, i berberi invece, viste le condizioni in cui vivono, hanno le difese immunitarie naturali per contrastare quello che noi definiremmo “agenti patogeni”. Ebbene ti dirò caro Francesco! Proprio perché vaccinati, siamo portatoti di un ceppo virale a loro sconosciuto e pericoloso…».
Rimasi meravigliato, ma a quel tempo non diedi molto peso alle sue parole.
Oggi, in quest’epoca d’isteria pandemica, offrire all’orecchio delle persone, le parole del Professore risulterebbe “eretico”, rischierei d’esser frainteso e etichettato per qualcosa che non riconosco. Allora taccio e fingo di credere che… chi non è vaccinato è un pericolo per gli altri; fingo di sostenere che un bambino potenzialmente sano e forte debba obbligatoriamente vaccinarsi per non rischiare di ammalarsi e infettare altri bambini, i genitori e i nonni… vaccinati contro un’influenza stagionale! E alla prossima stagione? Al prossimo anno? Il ciclo continuo di iniezioni renderà il bambino diversamente sano, diversamente attivo, diversamente felice, e diversamente coraggioso nei confronti dei pericoli che la vita li espone come un mezzo per esplorare i limiti umani.
Quando verrà il mio turno, sarà troppo tardi, a niente varrà appellarsi alla Convenzione di Oviedo, e a nulla servirà ricordare il Tribunale di Norimberga, perché i nostri politici (eletti o no) non sono dittatori, i medici non sono Nazisti, ma soprattutto… devo convincermi di vivere internato in un Lager a cielo aperto, o in un Campo Profughi.
Ringraziamenti in ordine sparso.
Un pensiero gentile va a Baca, a Fatima e a Mohammed; al “Mondo a Tavola” di Chef Kumalè, una guida fondamentale per ritrovare le abitudini; alla “Signora di Alessandria” di Beppe Ferrandino e Bruno Brindisi; al Professore e alle mirabolanti avventure nel suo pozzo di conoscenze. E un ringraziamento a Fabio Santaniello per i contributi fotografici.
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