Raccontino autobiografico per chi è già sotto l’ombrellone con un qualche aggeggio elettronico che lo collega al mondo. Ma va bene anche per chi è al lavoro e vuole staccare per 5 minuti.

E’ pronto cena?

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Al Capone modificato e smagrito

        Mi ha sempre divertito tentar di risalire qualche generazione addietro per conoscere quelle che furono le origini della mia famiglia.

 

Questa storia vera, che si svolge pressappoco nella seconda metà dell’800, mi fu raccontata quand’ero piccolo, come fosse una novella, dalla mi’ nonna Beppina, che era la nipote del protagonista. Narra le vicissitudini dei nonni di mia nonna, ovvero Aristide e Maria (per la verità i nomi non sono esattamente questi perché non li ricordo più, ma sono simili o quantomeno verosimili).

 

La mia stirpe non è né blasonata né alto borghese. Non ci furono nobili imprese, gloriose avventure commerciali o rimarchevoli conquiste scientifiche che fossero degne esser tramandate ai posteri in forma scritta. Poche sono dunque le notizie che mi sono pervenute. Ma alcune di esse sono curiose. Per quanto ne so i miei ascendenti in linea paterna erano barrocciai da parte di mia nonna e falegnami da parte di mio nonno. Non che ciò corrispondesse ad una condizione di povertà. Nell’800, quando la maggior parte degli uomini erano braccianti, mezzadri, manovali o servitori di qualche possidente, il disporre di un carro trainato da cavallo o di una bottega di falegname significava già appartenere ad una categoria sociale appena un gradino superiore rispetto alla umile condizione dei più. Si può forse dire che il falegname di allora corrisponda ad un piccolo imprenditore odierno, così come il carrettiere al titolare di una impresa di trasporti di oggi.

 

Il barrocciaio, in particolare nelle comunità rurali e nei piccoli paesi, era probabilmente quello che oggi si dice un uomo di mondo, un personaggio romantico e talvolta tenebroso. Mentre la maggioranza degli esseri umani veniva alla luce, viveva e veniva sepolta nel ristretto ambito della terra natia e senza aver notizia di quel che succedesse pochi chilometri più in là, il barrocciaio traeva dal suo lavoro il beneficio di conoscere, viaggiando con il carro carico di merci, individui e luoghi diversi. Nel suo pur limitato girovagare di poche decine di chilometri poteva incontrare persone, bazzicare osterie, frequentare fiere di merci o del bestiame, raccogliere informazioni da riferire al rientro a casa, superare vicissitudini, trascorrere qualche notte sotto un tetto diverso da quello natìo e, probabilmente, perfino aver a che fare con femmine diverse da quella che, a casa, accudiva alla prole durante la sua assenza.

 

Il carrettiere era solitamente un uomo sbrigativo, capace di difendere sé stesso, il suo cavallo e le sue merci da eventuali malintenzionati che si presume, allora come ora, non mancassero. Fisicamente Aristide non era un uomo robusto, era anzi piccolo e segaligno. Forse a cagione di questa sua caratteristica fisica era scontroso e di poche parole, uno che intendeva farsi rispettare insomma. Lui non voleva mosche al naso, teneva a bada il prossimo con una certa autorità, lasciando subito intendere di non essere disponibile a farsi mettere i piedi in capo. Vestiva, come si conveniva al suo mestiere, con i modesti panni del barrocciaio. Ma quando era a casa, ovvero tra un trasporto e l’altro, si compiaceva di indossare un paltò scuro, un cappello a larghe tese portato sulle ventitré, e d un mezzo toscano spento tra i denti.

 

In casa figli e moglie, essendo Aristide indiscusso capo della famiglia, avevano di lui un timore reverenziale. Per ottenere quello che voleva non c’era bisogno che proferisse comandi, quando in casa c’èra lui i ragazzi non si permettevano certo di far baccano. Nessuno si azzardava a disturbare le fumate di sigaro che si godeva in silenzio, osservando le dense volute di fumo avendo la maniacale cura di non far cadere la cenere che, fino alla fine, restava in bilico sulla minuscola cicca. Tutti avevano imparato a prevenire quello che volesse ed anticipavano servili i suoi bisogni.

 

Accadde una bella volta che, dopo aver atteso per giorni il rientro del marito dal suo viaggio, la moglie si dovette rassegnare al fatto che non sarebbe più tornato. Dove fosse andato non si sa, né si poteva sapere. Non si seppe se fosse vivo o morto, magari caduto per cause naturali (o per mano altrui) in qualche fossato lungo il percorso del barroccio. Quasi certamente Maria avrà pur tentato di informarsi discretamente presso qualcuna tra le più riservate donne del vicinato ma, o che non abbia avuto risposta o che abbia avuto notizie tali da non essere divulgabili per il buon nome della famiglia (la nonna mia accennò vagamente a me la possibile fuga con qualche femmina dai facili costumi) fatto sta che sul motivo certo della scomparsa solo il silenzio è stato tramandato a noi.

 

Potete immaginare che, d’un colpo, la tranquilla vita della mite Maria abbia subito un notevole mutamento. Una donna che si ritrova sola, con cinque piccoli da mantenere, senza un capofamiglia che porti soldi a casa e garantisca la rispettabilità della sua donna e dei suoi figli nella piccola comunità del paese, senza un lavoro, additata dalla gente per essere una vedova bianca. … Beh, sarebbe difficile al giorno d’oggi, figuriamoci come lo sia stato nella seconda metà di un ‘800 economicamente e culturalmente arretrato.
Maria doveva essere, per quanto modesta e remissiva, una donna forte e per bene. Con dignità e sacrificio riuscì pian piano a risollevarsi. Finite le poche risorse accantonate si ingegnò. Forse cucendo qualche vestitino per le poche dame compravano, forse affaticandosi a lavar la biancheria di qualche famiglia benestante forse con l’aiuto di qualche parente, fatto sta che riuscì sempre a racimolare quanto necessario per crescere i figli. E così passò un anno, due, tre…

 

Una sera all’imbrunire, i ragazzi scorrazzavano per casa facendo confusione. Maria si apprestava a mettere in tavola quel che c’era da mangiare.

 

Ad un certo punto… si ode il rumore di una chiave che, infilata dall’esterno, aziona le quattro rumorose mandate della serratura d’ingresso. Immediatamente in casa esplode, misto al batticuore ed alla curiosità, il più completo silenzio. Dodici occhi muti si volgono e fissano la porta. Con un lieve cigolio l’uscio s’apre. Appare una figura scura che entra lentamente, si toglie il paltò scuro, lo appende e posa il cappello sulla mensola. Poi si volta, si siede a capotavola con calma, si toglie il mezzo toscano di bocca e lo appoggia sul tavolo e con voce stentorea domanda: << E’ pronto cena?>>

 

Babbo è rientrato. Silenziosa Maria gli serve la scodella traboccante di minestra…

 Alessandro Tantussi

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