DI NOI STESSI E ALTRI MONDI Equorea

Di Noi Stessi E Altri Mondi è una band bresciana nata alla fine del 2015. Il gruppo, un quartetto formato da Marco Guerrini (voce), Mattia Zanotti (chitarra, synth), Thomas Botter (batteria) e Francesco Tavoldini (tastiere, synth) ha esordito con un EP omonimo pubblicato nella prima metà di Gennaio 2017. Il gruppo è dedito ad un post rock simile a quello dei Massimo Volume da cui riprendono l’uso dello spoken word al posto del cantato vero e proprio e la preferenza per un prodotto musicale che funzioni come viaggio nelle angosce personali più recondite.

Le loro canzoni sono estenuanti tour de force, spesso con strutture rarefatte o psichedeliche e con svolgimento in crescendo, che citano nello stesso tempo le minisinfonie melodrammatiche e raffinate dei Genesis, le strutture decostruite degli Slint, le progressioni subliminali e maestose dei Godspeed You ! Black Emperor e le dinamiche glaciali e misteriose dei Mogwai. Il loro nuovo lavoro Equorea, un mini LP, uscito il 5 ottobre 2018 per la label I Dischi Del Minollo/Audioglobe riflette e amplia questo prassi , dando vita a una sintesi impeccabile fra sperimentazione (fornita dalla struttura del brano dove note e strumentazione sembrano vagare nel vuoto), impatto psicologico del sound (dato dall’orchestrazione stratificata) e ricerca introspettiva delle liriche (ogni parola acquista
valore figurato e rimanda a una ben più complessa semiotica musicale). Come già detto i brani sono quasi sempre in crescendo: si aprono in maniera piana, quasi colloquiale, si sviluppano attraverso dinamiche sonore vibranti e quasi disperate per avvitarsi ed aprirsi in catarsi ultraterrene di intensità wagneriana.

Gli arrangiamenti sono quanto di più fantasioso si possa immaginare. L’opera si apre con Nuvole, un tipico post rock con andamento circolare costruito su trepido tintinnio di chitarre, mentre nel successivo Neruda ad essere circolare è il susseguirsi di note mentre l’impalcatura principale, una spoken music su tema triste e desolato, rimane quasi immobile. Il successivo Ode è l’epitome dell’arte del gruppo: un deliquio pianistico che si innalza in un crescendo nevrotico di chitarre, puntellate da una ritmica serrata a sua volta contrappuntata da un filo di elettronica in sottofondo. In Venere Dei Treni in primo piano invece è il testo mentre le parti musicali rimangono in secondo piano quasi in sordina a mò di colonna sonora. Nella finale Cieli Grigi si assiste ad una sovrapposizione di piani stilistici differenti: post rock desertico (alla Giant Sand), tintinnio di chitarre (alla Red House Painters) e finale tempestoso (alla Explosions In
The Sky). In soli 21 minuti di musica, la band bresciana riesce a coniare una forma armonica che su scala microscopica è dissonante ma su scala macroscopica è lineare e melodica, su scala microscopica è dinamica ma su scala macroscopica è statica. La produzione è di Davide Lasala.

di Alfredo Cristallo

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