SEQUOYAH TIGER Parabolabandit

Fra la fine di luglio e gli inizi di agosto 2017, apparve sulle colonne di Micsugliando (nella sezione Gemme Oscure) una mia recensione su Sequoyah Tiger e sul suo EP Ta Ta Time, un lavoro che aperto nuovi orizzonti alla dance elettronica europea. Come già detto in quell’articolo, Sequoyah Tiger è il progetto della cantante veronese Leila Gharib già attiva nel gruppo punk Bikini The Cat e nei BarockThe Great un gruppo di performing art formato in collaborazione con la danzatrice Sofia Brunella che sperimentava una sorta di esperienza musicale interdisciplinare che sommava l’aspetto visivo (le performances artistiche della Brunelli) alle sculture sonore della Tiger, le cui sperimentazioni sonore e vocali tendevano a creare una nuova forma canzone che sembrava autocostruirsi da sola man mano che le procedure di sampling e computer programming ne sviluppavano la melodia. Ne conseguiva una forma di pop straniante che non apparteneva ad alcun genere musicale ma allo stesso tempo ne citava un’infinità. Quel lavoro attirò l’attenzione della critica e delle label indipendenti. Prima ad arrivare fu la Morr Music che produsse Ta-Ta- Time agli inizi del 2016, uno split single in collaborazione coi berlinesi Saroos uscito nel novembre 2016 e ora l’attesissimo primo full lenght album dell’artista uscito il 27 ottobre 2017 e intitolato ParabolaBandit. Pur tenendo ferme le premesse del precedente lavoro (preminenza dell’eclettismo e della sperimentazione nella costruzione armonica), in questo nuovo lavoro Sequoyah Tiger ha ampliato la propria offerta musicale scegliendo una forma di algido revivalismo che da un lato lambisce il dream-pop più etereo, dall’altro esibisce una forma dissonante di arrangiamento che abbraccia il pop degli anni ’50 e ’70 in termini tanto nostalgici quanto ironici e stranianti: significativamente tutti i brani sono composti col computer programming e hanno una ritmica rallentata quasi robotica. L’occupazione dello spazio sonoro (l’intero disco sembra come se fosse montato su immaginario palcoscenico) procede fra avanguardia, incubi elettronici e bubblegum pop tra pulsazioni ipnotici della drum machine, gorgheggi circolari di canto e controcanto, accordi epici di un organo dal timbro acido. Al lato più avanguardistico appartengono le delicate romanze per synth e archi (naturalmente anch’essi sintetici) di Another World Around Me e Lemurcatta capaci di sciogliersi in un nugolo di accordi celesti al limite dello shoegazer. Il lato più pop (per quanto selvaggiamente modificato) è occupato dai doo wop ipertecnologici di Where Am I (sembra di risentire le Ronettes) e Kill The Robber che gli arrangiamenti sintetici trasformano
in un hip hop disseccato e deprivato tanto della sua carica ribelle quanto della sua frenesia dance e dalla rivisitazione dei folk pop seminali degli Everly Brothers che rivivono nelle cadenze marziali e androidi di Sissi e Cassius per trionfare nell’ondeggiante evergreen da spiaggia di Brilliant One.
Quest’arte della rivisitazione sposta il proprio mirino dagli anni Cinquanta agli anni Settanta nel
synth pop di Punta Otok conteso fra le suggestioni mitteleuropee e industriali dei Kraftwerk e
l’elettronica popolare di Jean Michel Jarre per puntare verso un’avanguardia immersa in taglienti down tempo alla Animal Collective (A Place Where People Disappear) o nella jam percussiva di Brother/Brother che accoglie insieme la tenebra astratta di Panda Bear e l’acid house più classica. L’operazione promossa da Sequoyah Tiger in pratica persegue differenti obiettivi: la vivisezione erudita e intellettuale del pop nella sua epoca d’oro, l’iconoclastia decostruttiva dei dischi solisti di Adrian Belew e i minimalismi deja vu dei Raybeats tanto volutamente stereotipati quanto volutamente stranianti e quindi nevrotici. Se gli obiettivi sono stati raggiunti lo diranno la storia e la critica musicale. Di certo Parabolabandit è disco da analizzare (e ascoltare) più volte in quanto non scontato e per quanto mi riguarda decisamente innovativo. L’incedere scanzonato ma costantemente frigido dei suoi brani e la nostalgia immanente dei suoi arrangiamenti la pongono su un gradino più in alto di Four Tet e di Grimes.

di Alfredo Cristallo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.