PASCAL PINON Sundur

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L’ennesima next big thing che proviene dalla lontanissima Islanda è Sundur, il terzo album dei Pascal Pinon, ovvero il duo delle gemelle Asthildur (chitarra, tastiere) e  Jofridur Akadottir (voce, chitarra). Le due sorelle hanno esordito nell’ottobre del  2010 all’età di 14 anni (!) col singolo I Wrote A Song e due mesi dopo con un album omonimo autoprodotto e completamente registrato in casa con mezzi umili (un solo microfono, strumentazione essenziale e amplificatori tenuti a basso volume per non disturbare i vicini) e con l’occasionale aiuto di due loro coetanee. Il risultato fu una raccolta di bozzetti acustici folk, arrangiati in maniera spartana e cantati con un registro vocale adolescenziale e sfumato sia in islandese che in inglese che davano all’opera un tono angelico e soave. In realtà il loro sound era un lo-fi minimalista di fragili elegie e filastrocche infantili al quale l’arrangiamento amatoriale dava un esile tocco di toccante ingenuità. Questo programma venne ampliato nel secondo LP Twosomeness del 2013 nel quale le sorelle si avvalevano della produzione della label tedesca Morr Music nonché dell’aiuto e della tecnologia dello studio di registrazione di Jonsi (il cantante dei Sigur Ros) per sfoggiare un buon repertorio di armonizzazioni vocali all’interno di un più classico album di dream-pop, sempre suonato in punta di piedi ma già più mainstream tanto da meritare la citazione entusiastica della stampa più attenta al fenomeno (New York Times, Guardian, il più specializzato magazine Clash)  e dei recensori di Allmusic (storico portale online di musica rock).

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Nel frattempo le due sorelle giravano nonostante la giovane età il mondo impegnate in tour in Europa, Giappone e Cina. Nello stesso tempo Jofridur s’impegnava a suonare nel gruppo techno Samaris (3 LP e 2 EP fino al 2015). Questo periodo di separazione fra le due sorelle (una in tourneé e l’altra a studiare in Olanda piano e composizione) si riflette nel nuovo LP Sundur, uscito nel settembre del 2016 che risulta più melanconico e minimalista dei precedenti. Ma non meno interessante. Sono rimaste innanzitutto le strutture neoclassiche delle linee melodiche di piano che assumono il ruolo guida nell’iniziale José Lotta (con lontani echi di synth e quasi inudibili ritmi di percussioni caraibiche), nella lenta e sonnolenta Orange e nella più austera Ast, sono rimaste lo stesso tenero languore di nostalgia senza fine (l’acquerello fiabesco alla Genesis per polifonia vocale di Skammdegi) e le atmosfere perse nel nulla che suggeriscono spazi sconfinate e persone disperse nel nulla nebbioso dell’inverno islandese (il trip hop ambientale di Forest) così come è rimasta la vena sotterranea di minimalismo metafisico (il folk trascendentale di 53 alla John Fahey, l’esperimento astratto di world music per piano, marimba e percussioni trovate di Twax). In più le due sorelle si sono concesse un tocco di sperimentazione astratta (la filastrocca cubista di Weeks per loop sintetici e voci), qualche incursione nel synth pop (Spider Light romantica e futuristica) e soprattutto un paio di sculture sonore come i salmi per note ripetitive di organo e coro di Fuglar e Babies che sono due miracoli di composizione neoclassica e insieme due esempi d’intensità religiosa. Tutto questo data la distanza fra le due sorelle (unita ai ritardi nei tempi d’uscita dell’album) in soli due giorni di registrazione. Il padre delle  gemelle, il compositore Aki Asgeirsson, ha dato una mano come tecnico del suono e occasionale percussionista: sua la trovata di usare lastre di metallo di scarto (persino parti di un modellino d’aeroplano) che dà all’album quel tocco di musica giocattolo curiosa e inventiva. Stretto fra arrangiamenti volutamente poveri e raffinati tessiture dream-pop impegnate a creare una pacata atmosfera di perdita magica, il sound di Sundur è un mattone della trasformazione della psiche collettiva e del senso di percezione della musica pop nel III millennio. La produzione è sempre della Morr Music

di Alfredo Cristallo

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