THE CYBORGS Extreme Boogie

di Alfredo Cristallo

 


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The Cyborgs sono un power duo della scena underground romana. Rispolverando la lezione immortale che fu già dei Residents, si nascondono dietro maschere da saldatori, si considerano metà uomini e metà macchine e si chiamano semplicemente 0 (Zero) e 1 (Uno), due identità fittizie riprese dal sistema binario. Zero suona la chitarra e canta con un microfono nascosto dentro la maschera, mentre Uno suona synth, piano, batteria elettronica, percussioni più altri arnesi giocattolo. La loro missione è quella di mantenere in vita il blues altrimenti destinato a scomparire dalla faccia della Terra (The Cyborgs pensano che tutta l’umanità si stia autodistruggendo), predicando un ritorno al passato e alla semplicità. Conseguentemente la loro versione di blues nel primo omonimo LP (del 2011) è uno stile molto vicino a quello degli anni Trenta e Cinquanta, ma anche istintivo e viscerale e soprattutto inserito in un immaginario futurista. Trascinato da brani carichi di ritmo come Dancy e Human Face, l’album ha un buon successo di critica, tanto che il duo viene invitato al festival “10 Giorni Suonati A Vigevano” dove aprono per Jeff Beck (già proprio lui!) e successivamente all’Italia Wave di Lecce a coronamento di un tour estivo che si protrarrà poi nel resto d’Italia e all’estero. L’avventura discografica riprende nel 2013 con Electric Chair, altri 12 brani in cui il duo confronta il suo electro-funk-blues col boogie, riletto nella chiave della psichedelia e dell’hard blues degli anni Settanta.

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A 2 anni esatti di distanza, il 1 Maggio del 2015, il gruppo licenzia il terzo capitolo della saga Extreme Boogie. Questa volta l’operazione consiste nel recupero semiotico delle radici del rock moderno, mostrando come dal blues e dal boogie si arrivi alla dance elettronica e al techno-pop. Il sound rimane quindi sempre enfatico, irrequieto ed eccessivo ma con lo scopo di aggiornare i cavalli di battaglia del rock all’era del cyberpunk. Il percorso è perfettamente filologico. Si parte con i rockabilly deviati e orrendamente deturpati di I’m Just A Cyborg And I Don’t Believe In God, Yes I’m Right e Spanish Is Sexy (con assolo cosmico di chitarra alla Jeff Beck), per planare direttamente sul boogie ferroviario di Cadillac e analizzare accuratamente il passaggio dal blues al boogie (o viceversa) in Plug Me e Up Down Left Right. Dopo due divertissement di alta classe, la novelty di Bee Leave Me e la bubblegum elettronica trapanata dai synth di SOS, che li eleva a veri successori dell’epopea dei Devo, ecco i Cyborgs affrontare nei brani finali una dotta dissertazione del loro genere preferito attraverso il blues roventissimo di Cyborg Boy che ruba il ritornello a Mannish Boy (di Muddy Waters), l’hard rock zeppeliniano di OXYJEHHO e i due hard blues vibranti e marziali di Zero Blues e Game Over suonati con la stessa virulenza dei Cream come se 40-50 anni di rock-blues non fossero mai passati. A 4 anni dell’esordio, il programma dei Cyborgs rimane sempre lo stesso: proporre sonorità tanto classiche quanto deliranti, rock-blues e boogie calati in strutture dance attraverso la ripetizione martellante e sintetica di schemi elementari. Assordanti e frenetici, i loro sabba pantagruelici sono devastati dall’onda cosmica dei synth, da ritmiche al tritolo e da riff di chitarra che sono palazzi di rumore. Senza prendere fiato una sola volta, il gruppo compie una delle scorribande più memorabili di questo decennio; nello stesso tempo e più subdolamente i loro sovratoni psicotici e apocalittici, deturpano i ritmi da discoteca e li ridefiniscono facendone un veicolo estremamente efficace per la trasmissione dell’alienazione.

 

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