“L’oro del mondo”

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…Quell’idea dei vasi comunicanti l’aveva capita all’improvviso.
Gli era saltata in mente conoscendo quella giovane locandiera dall’aspetto trasandato ed elegante al tempo stesso, quando si rendeva conto che senza accorgersene i lati della sua stessa bocca s’allontanavano accennando un sorriso ogni volta che ne vedeva nascere uno lucente da lei.
Una questione d’empatia, immagino io.
Nonostante la sua doveva parere più una smorfia che un sorriso Alino sapeva bene che i muscoli che utilizzava dovevano esser necessariamente identici a quelli di lei.

“Il principio dei vasi comunicanti è quel principio fisico secondo il quale un liquido contenuto in due o più contenitori comunicanti tra loro, in presenza di gravità, raggiunge lo stesso livello dando vita ad un’unica superficie equipotenziale.”

Ed era proprio così.
Quella giovane aveva una particolarità, forse un vezzo, portava a tracolla una borraccia, ma non la utilizzava mai. Non le serviva a mescere vino ai commensali. Non le serviva a placare la sete che doveva scaturire dalle sue fatiche.
Non le serviva a niente.
A ben guardare la borraccia era vecchia e lisa, si sarebbe potuta definire un vero colabrodo con un buco in particolare, più in basso di tutti, anche più grande ed evidente degli altri.
Alla fine, pare, Alino trovò il coraggio d’intervistare la ragazza, e lei parve sorpresa e soddisfatta della domanda, come se desiderasse, pur non aspettandoselo, che prima o poi qualcuno le chiedesse di quella sua borraccia per poter rispondere che conteneva i suoi ricordi.
L’obiezione di Alino fu quasi una conseguenza naturale del parlare, un obiezione doverosa e spontanea come è lecito aspettarsi il volo da un paio d’ali spiegate. Così perdi i tuoi ricordi, le fece notare Alino. Ma il sorriso di lei pareva denunciare ancor prima di parlare che la risposta avrebbe chiuso l’argomento, in poche battute, come quando si affrontano le ovvietà.
Questo pareva che la borraccia fosse per quella donna, un’ovvietà.
Sono solo i ricordi sul fondo della borraccia a cadere, e questo è un bene. In questo modo c’è sempre posto in alto, a portata di sguardo, per quel che voglio ricordare domani. I buchi di questa borraccia mi ricordano che posso e devo lasciar andare, così come è giusto lasciare che un fiore sia alla portata di tutti e sia il mondo e la pioggia a prendersene cura. Al chiuso, ovunque altrove, appassisce e muore, ed io non voglio che i miei ricordi muoiano con me, che la mia stessa vita muoia con me, e preferisco che non mi appartenga per sempre, preferisco che le tracce di me fioriscano ovunque io abbia camminato, se ben ricordo che non devo esserne gelosa.
Alino credette di sentirsi innamorato della ragazza, e credette che la cosa più ovvia fosse di chiederle di seguirlo. Ma pure capì bene la lezione della borraccia. E non le chiese mai di partire, non di seguirlo, sarebbe stato geloso di quel fiore e probabilmente sarebbe allora appassito.
Alino bucò la sua borraccia, tornò da lei per guardarla un’ultima volta perché fosse il primo contenuto della sua nuova vita. La guardò a fondo, e fece ancora un paio di volte quella smorfia che a lui parevano sorrisi tali e quali. Poi appuntò su un suo foglio:

“tutta l’acqua è solo acqua finché non diventa linfa. Tutto il fiume è solo fiume finché non diventa il mare.”

E partì. E cominciò a seminare il suo bell’amore grondante dalla sua borraccia ovunque andasse.

Ernesto Fontanella

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